Prendo spunto dall’articolo molto stimolante di Vito Foschi, nella rubrica Cose (E)inaudite, dal titolo “Notarelle liberali sui migranti”, per riassumere una personale considerazione. Da uomo liberale, quale mi definisco e sono, mi pongo quotidianamente il problema sul ruolo dello stato nella gestione (o contrasto, o contenimento, o regolamentazione (?) dei “migranti”; e ritengo, a ragion veduta, che se lo stato deve avere un ruolo in quest’ambito – e non può non averlo – esso debba essere di tutela, in primis, dei propri cittadini-contribuenti. Poi viene tutto il resto, poiché la tutela della sicurezza, degli interessi, del benessere degli italiani è uno dei principali pilastri dell’interesse nazionale. Al contrario, la mancata, o incompleta, inefficace, insufficiente, gestione di un fattore esterno quale il fenomeno migratorio, è sintomo di uno stato che non funziona e che antepone interessi politici (di bottega, privi di visione strategica) in antitesi con quelli nazionali. Qui non c’è solo colpa, qui c’è dolo.
È bene evidenziare che il 2016 è l’anno del record assoluto di migranti giunti in Italia e si prevede di superare la quota 170mila del 2014. Ma il 2017 sarà peggio, questo è un dato di fatto e non occorre la sfera di cristallo per prevederlo, è sufficiente osservare i dati dei flussi migratori. Ciò che sta accadendo è che, a livello sociale e ambientale v’è una spinta verso l’Europa che è causata dall’aumento demografico africano e del rifiuto dei paesi africani di aprire le frontiere a quei migranti che si muovono all’interno dello stesso continente. E ciò avviene anche per quella odiosa forma di razzismo che gli africani hanno nei confronti degli altri africani (e degli stranieri dalla pelle bianca, come degli albini che in molte culture vengono uccisi) e che, al concetto di accoglienza e dovere morale contrappongono machete e kalashnikov; non mi dilungo su questo specifico argomento per mancanza di spazio, invitando però i lettori ad approfondire la questione del razzismo in Africa.
Ma, indipendentemente da quelle che sono le ragioni, il dato di fatto è che l’Italia si trova nell’area di passaggio privilegiata. Italia che, limitandoci all’anno in corso, ha stanziato l’enorme cifra di un miliardo e settecento milioni di euro per l’accoglienza; miliardo da cui vanno esclusi i costi di recupero in mare. Il tutto a carico del contribuente, ma se si tratta di salvare vite umane è accettabile. Ma la domanda è proprio questa: si tratta davvero di salvataggi di persone che rimangono bloccate in mezzo al mare nel tentativo di raggiungere l’Europa? O piuttosto è gente che, al pari di un servizio taxi su chiamata, andiamo a prendere a poche miglia dalle coste nordafricane, alimentando così un mercato di esseri umani di cui siamo corresponsabili? E non uso ovviamente il termine traversata poiché nessuno di questi migranti (per la maggior parte migranti economici che vogliono migliorare le proprie condizioni economico-sociali) viene fatto salpare dalle coste del nord-Africa per giungere sulle coste italiane autonomamente; si tratta, al contrario e come ben noto, di una fermata in mezzo al mare, nell’attesa che arrivi il servizio trasporti europeo a recuperarli e a portarli in Italia.
Per rispondere a questa semplice domanda, è sufficiente guardare alle imbarcazioni che vengono utilizzate per comprendere che tutto ciò che sta accadendo è ben lontano da quel che si vuol far credere all’opinione pubblica affinché sia disposta ad ingoiare il boccone amaro, nel nome del dovere morale all’accoglienza, alla solidarietà, all’altruismo. Le barche utilizzate sono dei rottami, non in grado di reggere la forza dell’alto mare, inoltre la quantità di carburante di cui sono dotate è sufficiente a percorrere alcune miglia dalle coste del nord-Africa; e ancora, i cosiddetti “scafisti”, che altro non sono che disperati a cui i veri “trafficanti” mettono in mano un timone, hanno in dotazione un telefono satellitare con un solo numero in memoria: quello della sala operativa in Italia a cui chiamare non appena il motore si spegne, cioè a poca distanza dal punto di partenza.
Possiamo allora parlare di migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo o, piuttosto, di un’organizzazione che mette le barche in mare – e su di esse masse di individui sacrificabili la cui vita è insignificante – sapendo che gli italiani (e gli europei) andranno a prenderli? È questo il punto fondamentale, quella gente è in mare solo ed esclusivamente perché vi è la certezza – da parte delle organizzazioni criminali – che qualcuno andrà a prenderli. È questo il meccanismo da bloccare, rompere senza indugio, altrimenti questo business concentrerà sempre maggiore ricchezza nelle casse di quei trafficanti di morte che si dice di voler combattere. Ma al di là del buonismo da strapazzo, c’è da inorridire di fronte alle tragedie quotidiane in cui non si fanno che registrare sempre più morti. Il problema è che quelle persone muoiono proprio perché siamo noi ad alimentare quel mercato di esseri umani che, a parole, diciamo di voler contrastare. E più ne muoiono più siamo disposti a mandare mezzi di soccorso per “salvarli”, ma facciamo finta di non sapere che a ogni salvataggio corrisponde un maggiore invio da parte dei trafficanti di imbarcazioni più cariche di disperati, più vecchie, più disastrate e con minore quantitativo di carburante.
Noi, dunque, i responsabili dell’aumento dei morti, una responsabilità che accresce al pari dell’irresponsabilità che alimenta questo circolo vizioso. Un circolo vizioso che è però alla base del business dei migranti che genera un’economia di 5/6 miliardi di euro anno di cui beneficiano organizzazioni criminali, e che alimenta una sempre più crescente e preoccupante percezione di insicurezza all’interno delle fasce sociali più deboli e marginali da cui traggono beneficio sia i partiti populisti di opposizione, sia quelli al governo. I primi sfruttando la rabbia e il disagio sociale, i secondi facendo pateticamente leva su un presunto quanto irritante concetto di “dovere morale”.
Tutto questo è il risultato di una politica di gestione dei flussi migratori fallimentare, gestita con pressapochismo, che non può che portare al collasso del sistema anche perché strutturata per affrontare una condizione di emergenza quando il fenomeno è di natura strutturale: sappiamo quanti sono, quanti ne arriveranno, attraverso quali rotte e per quanto tempo. Dunque perché continuare a parlare di emergenza se non per far presa sulla coscienza dell’opinione pubblica e sulle sue paure(punto di domanda) Con tutta onestà, questi migranti non li vogliamo, non ci servono, ci costano sul piano economico e su quello sociale alimentando un’economia di assistenza malata e corrotta, dirottano fondi e stanziamenti che potrebbero essere usati per cittadini italiani in condizioni di indigenza o più semplicemente per rilanciare un’economia disastrata. Queste sono semplici riflessioni di un uomo liberale.
* Claudio Bertolotti, SiAmo Torino, esperto di terrorismo, flussi migratori, sicurezza nazionale